Ex senatore e attuale presidente dell’Ordine nazionale biologi, Vincenzo D’Anna presiede la Federazione provinciale dei laboratori privati (Federlab) che raggruppa circa 700 iscritti.
Presidente, chiedete di essere autorizzati a fare i test per accertare il contagio da coronavirus?
«Facciamo chiarezza. Noi chiediamo di poter effettuare i test sierologici, che riteniamo lo strumento indispensabile per avere uno screening esteso sulla reale diffusione del virus nella popolazione di sei milioni di campani».
Cosa diversa dal tampone?
«Sì, considerando che i guariti dal virus sono circa il 35 per cento e gli asintomatici il 90, il test sierologico consente di capire la diffusione del virus. Ci sono falsi sintomatici, o persone che da asintomatiche sono venute in contatto con il virus e potrebbero contagiare senza saperlo».
Perché non potete fare i test sierologici?
«La Regione Campania, nonostante la Soresa abbia chiesto una manifestazione di interesse arrivando poi a un elenco di circa 50, tra laboratori singoli e consorziati, ha lasciato quell’attestato che riconosce l’esistenza dei requisiti tecnici richiesti, senza effetto pratico. In Toscana, ma anche in Liguria e Veneto, i test sierologici sono partiti. Qui no ed è un ritardo che non consente di avere gli elementi necessari a decisioni politiche sicure».
Non ci sono già i tamponi?
«I tamponi accertano la malattia in presenza di sintomi, come tosse, febbre, difficoltà respiratorie. Vengono fatti da strutture pubbliche, con protocolli e materiali codificati dal ministero della Salute. Neanche quelli sono consentiti ai laboratori privati e io dico che almeno, come consente l’ordinanza del governo, si potrebbero fare assunzioni a tempo di biologi per dare respiro ai colleghi che nelle strutture pubbliche sono sottoposti a uno stress enorme».
Torniamo ai test sierologici, perché non partono in Campania?
«A livello centrale non è stata concessa ancora la validazione sui kit delle grosse aziende farmaceutiche, come Abbot, Roche, Siemens. Sono le uniche in grado di garantire una grossa e continua produzione di kit per i test. La validazione l’hanno avuta però due aziende più piccole, come la Dasit, che non sono attrezzate per forniture consistenti. Da un mese ho chiesto alla Dasit due kit e non li ho ancora ricevuti. Una ventina di giorni fa, la Toscana ordinò circa 400mila kit a queste aziende e li ha avuti, partendo poi con i test sierologici. Qui si è fermi in attesa delle validazioni nazionali ai tre big farmaceutici, restando così in ritardo sugli screening generali che sono la via per avere un quadro generale affidabile sulla diffusione del virus».
Perché i ritardi sulle validazioni ai kit dei tre colossi farmaceutici?
«Non le sfugge che gli interessi economici sono enormi. Si è capito che il test sierologico, se segue tutti i criteri scientifici, è strumento importantissimo. Perciò alcune Regioni sono partite autonomamente. Senza addentrarmi in spiegazioni troppo tecniche, le dico che questi tipi di test, naturalmente in condizioni epidemiologiche e infettive diverse, si fanno per esempio già per le epatiti. La Roche si è detta disposta a fornire i kit gratuitamente. Anche noi laboratori privati siamo disposti a fare i test gratis. Diciamo, forniteci i kit e dateci il via libera e si parte con gli indispensabili test sierologici. La politica dei tamponi non è sufficiente, il Veneto è partito in anticipo sui tamponi a tappeto e ne ha fatti tantissimi. Ma anche quel campione, seppure esteso in rapporto alla popolazione veneta, non basta per avere il quadro della diffusione reale del virus».