Pompei è uno dei 54 siti archeologici riconosciuti patrimonio mondiale dell’UNESCO in Italia, grazie alla sua unicità: la città, infatti, nel 79 d.C., fu completamente distrutta e sepolta da un’eruzione del Vesuvio. Ebbene, un team internazionale di ricerca, composto in gran parte da scienziati italiani del Centro di Antropologia Molecolare per gli Studi sul DNA Antico del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma “Tor Vergata“, del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento (Lecce), del Laboratory of Molecular Psychiatry del Department of Psychiatry and Human Behavior dell’University of California (Usa) e della Lundbeck Foundation GeoGenetics Centre del Globe Institute dell’University of Copenhagen (Danimarca) è riuscito a caratterizzare il profilo del primo genoma pompeiano, che presenta forti affinità con la circostante popolazione dell’Italia centrale di età romana imperiale. Il lavoro, che ha seguito un approccio multidisciplinare con analisi bioarcheologiche e paleogenomiche di due resti umani di un uomo tra i 35 e i 40 anni (alto 164,3 cm) e di una donna di età superiore ai 50 (alta 153,1 cm), trovati nella sala 9 della Casa del Fabbro, è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports del gruppo “Nature“.
In particolare, il successo del recupero dell’aDNA dai resti dell’individuo di sesso maschile ha consentito al team di ricerca di ricostruire la sua storia genetica e di indagare sulla presenza di agenti patogeni trasmessi dal sangue, insieme all’evidenza della biologia scheletrica. Inoltre, hanno spiegato gli scienziati, “questi dati possono anche darci una panoramica della diversità genetica al di fuori di Roma durante l’Impero Romano”.
“I nostri risultati – scrivono i ricercatori nell’abstract – suggeriscono che, nonostante l’esteso collegamento tra Roma e le altre popolazioni mediterranee, esiste un notevole grado di omogeneità genetica nella penisola italiana in quel momento. Inoltre, analisi paleopatologiche hanno identificato la presenza di tubercolosi spinale e abbiamo ulteriormente studiato la presenza di DNA antico da Mycobacterium tuberculosis“. In conclusione, “lo studio dimostra il potere di un approccio combinato per indagare sugli esseri umani antichi e conferma la possibilità di recuperare il DNA antico dai resti umani di Pompei. I nostri primi risultati forniscono una base per promuovere un’analisi paleogenetica intensiva ed estesa al fine di ricostruire la storia genetica della popolazione di Pompei, un sito archeologico unico nel suo genere”.