«La cosa che mi rende più felice è non dover più andare in ospedale ogni settimana, senza saltare giorni di scuola. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile tutto questo!». Parola di Alba, sette anni, la più piccola persona al mondo ad aver ricevuto un trattamento sperimentale nato nei laboratori dell’Istituto Telethon di Pozzuoli (Tigem) e che potrebbe cambiare in meglio la vita di chi come lei è nato con una rara malattia genetica, la mucopolisaccaridosi di tipo 6.
I suoi genitori, Ignacio e Aida, si conoscono nel 2007 a Terragona, in Spagna: qui il papà, argentino di nascita, si è trasferito per lavorare come paramedico ed è proprio in ospedale che conosce la sua futura moglie Aida, che fa l’infermiera. Una volta sposati, nel 2014 arriva Alba: una figlia molto desiderata che però, all’età di un anno, inizia a impensierire i genitori. «Respirava male e aveva sempre molto muco: ai nostri occhi di persone abituate a lavorare in campo medico suonava come un allarme» racconta Ignacio.
Dopo lunghe peregrinazioni, la diagnosi arriva grazie ai medici dell’ospedale pediatrico di Barcellona che, anche in base alla fisionomia di Alba, sospettano una forma di mucopolisaccaridosi. All’età di due anni la bambina riceve infatti la diagnosi definitiva di mucopolisaccaridosi di tipo 6, una malattia metabolica di origine genetica di cui i genitori erano, inconsapevolmente, portatori sani. È dovuta alla carenza di un enzima responsabile dello smaltimento di particolari sostanze che, accumulandosi, possono danneggiare le cellule di organi vitali quali scheletro occhi, cuore. Unica nota positiva, a differenza di altre mucopolisaccaridosi, questa forma non colpisce il sistema nervoso centrale, per cui le persone affette non hanno alcun tipo di ritardo cognitivo.
«Anche se eravamo preparati al fatto che Alba avesse qualcosa, per noi è stato comunque molto difficile accettare la diagnosi, perché non esisteva alcuna cura» ricorda Ignacio. L’unico trattamento disponibile per tenere in parte sotto controllo i sintomi della malattia – che provoca tra le altre cose inspessimento delle valvole cardiache, deformità scheletriche, opacità della cornea – è la terapia enzimatica sostitutiva: significa, cioè, andare tutte le settimane in ospedale per diverse ore per fare l’infusione endovena del farmaco.
Papà Ignacio però non si dà per vinto e inizia a cercare informazioni su internet. Scopre così che un ricercatore italiano,Alberto Auricchio del Tigem di Pozzuoli, sta lavorando a una cura innovativa potenzialmente risolutiva per la malattia di sua figlia, la terapia genica: grazie un virus opportunamente manipolato in laboratorio si può trasportare all’interno delle cellule dei pazienti una versione sana del gene per l’enzima mancante. Tra il papà e lo scienziato italiano inizia una fitta corrispondenza: i risultati sui modelli animali sono stati molto positivi e i tempi per la sperimentazione sull’uomo sono quasi maturi, ma per Alba è ancora presto, anche perché per poter partecipare bisogna avere almeno quattro anni di età.
Nel novembre del 2017, presso il dipartimento di Pediatria del Policlinico “Federico II” di Napoli prende finalmente il via la sperimentazione, sotto la guida di Nicola Brunetti-Pierri, e viene trattato il primo paziente. Due anni dopo, nel settembre del 2019, Alba vola in Italia con la sua famiglia per fare tutti gli esami per valutare se abbia i requisiti necessari per essere inclusa nella sperimentazione. Dopo una settimana, i medici danno a Ignacio e Aida la notizia più che bella che aspettavano: la bambina è idonea a ricevere la terapia genica: «per noi è stato un momento bellissimo, una rinascita: potevamo dare una nuova vita alla nostra bambina». Nel frattempo, la famiglia si allarga con l’arrivo di una sorellina, Jana, perfettamente sana.
Nel maggio del 2020, subito dopo la fine del lockdown imposto in Italia dalla pandemia da Covid-19, la famiglia arriva a Napoli: durante l’estate dell’anno che ha sconvolto l’intero pianeta, Alba riceve la terapia genica, la più giovane in assoluto di questo studio unico al mondo.
Oggi a due anni di distanza Alba è tuttora “libera” dalle infusioni: il suo fegato, grazie alla terapia genica, è in grado di produrre una quantità di enzima sufficiente a detossificare l’organismo dalle sostanze che prima si accumulavano. Come descritto dai ricercatori del Tigem sulle pagine del New England Journal of Medicine-Evidence, il trattamento sperimentale si è dimostrato sicuro e, alle dosi più alte, in grado di sopperire alla terapia enzimatica sostitutiva.
«Nostra figlia non solo sta meglio, ma non deve più “sacrificare” un giorno alla settimana alla terapia sostitutiva. Non ha più perso giorni di scuola e può dedicarsi a tutto quello che le piace fare: andare in bicicletta, fare nuoto sincronizzato, suonare il sax. Ha tante amiche con cui è cresciuta: con loro ha un legame molto forte e ha sofferto molto la distanza da loro e dai parenti in questi due anni, prima a causa della pandemia e poi della terapia genica. Tutto lo staff medico è stato eccezionale, ci siamo trovati benissimo e siamo davvero grati alla Fondazione Telethon e ai ricercatori del Tigem per aver dato questa possibilità a nostra figlia. Spero che la nostra storia contribuisca a far capire perché la ricerca scientifica è così importante e merita di essere sostenuta e incoraggiata, per i pazienti di oggi e di domani».
Fonte news: Telethon.it